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Come dovrebbero essere gli alieni secondo voi? Prima parte.

Ultimo Aggiornamento: 09/04/2011 23:41
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28/02/2011 16:05

Esobestiario
Il problema è complesso e solletica molto il mio gusto perverso per le speculazioni teoriche.

Io penso che difficilmente esseri intelligenti di origine extraterrestre abbiano un aspetto anche solo genericamente umanoide. La stessa storia evolutiva dell'unico pianeta sicuramente noto per essere abitato da forme di vita (il nostro) lo suggerisce.

Faccio un esempio concreto: in un'epoca compresa fra gli ottocento e i cinquecento milioni di anni fa, sembra che la Terra abbia attraversato una terribile era glaciale. In seguito alla frammentazione del supercontinente Rodinia (non è la Pangea, ma viene prima), una disposizione atipica delle masse continentali, ripartitesi in grandi scudi di terra emersa collocati principalmente in area equatoriale, e una conseguente alterazione delle correnti oceaniche regolatrici del clima globale, unitamente a una condizione astronomica sfavorevole, fecero precipitare le temperature superficiali della biosfera a una media compresa fra i cinquanta e i dieci sotto lo zero perfino in corrispondenza dell'equatore. Il crollo delle temperature determinò una catastrofica diminuzione dei gas atmosferici essenziali per le forme di vita terrestri (catastrofe dell'ossigeno). Fu l'epoca tremenda nota fra i paleontologi come criogeniano. Lo spaventoso scenario è quello delineato dalla teoria della Terra palla di neve (snowball-Earth Theory). E' una teoria abbastanza accreditata, anche se non immune da critiche. A salvare le forme di vita furono i vulcani superficiali e profondi, attorno ai quali si crearono isole di calore e di attività biologica, che rimasero totalmente separate le une dalle altre a causa del grande mare sterile dei ghiacci: in piccolo, quasi la stessa situazione in cui si trovano le biosfere di pianeti viventi lontani fra loro nello spazio galattico -fatta salva una differenza sostanziale, cioè la condivisione del materiale biochimico di partenza, che per gli ipotetici esopianeti viventi è da escludere in tronco. Il risultato fu una proliferazione di mutazioni genetiche determinate dall'estrema varietà e pressione selettiva dei biomi (ambienti) locali allora creatisi. Furono sempre i vulcani e la tettonica a zolle a determinare, col tempo, l'inversione di tendenza che nel cambriano rese il clima planetario di nuovo mite. Nel frattempo, la proliferazione di mutazioni avvenute nel criogeniano attorno ai vulcani aveva posto le basi dell'esplosione della biodiversità che ha portato fino alle forme di vita più complesse, che altrimenti sarebbero rimaste in mente Dei per miliardi di anni. Chiunque osservi gli esseri evolutisi a ridosso di quel periodo (forme di vita pluricellulari abbastanza primitive, ma per noi mostruose e davvero aliene, anche per i parametri dei fossili più strani che le ere geologiche successive ci hanno regalato), si rende conto di quale varietà di strutture di partenza le forme viventi possano sviluppare, anche su un unico pianeta.

Le circostanze che si determinarono nell'epoca criogeniana sono solo un esempio possibile: l'impatto del meteorite dello Yucatan, che determinò la discontinuità geologica fra cretaceo e cenozoico e la fine dei dinosauri, ci fornisce un altro case study interessante. Un pianeta di animali giganti che, con le dovute eccezioni, regolavano per lo più con la massa corporea la propria temperatura interna e che potevano godere di un'atmosfera col 31% di ossigeno, viene sostituito catastroficamente da un mondo in cui la percentuale d'ossigeno è calata al 21% e in cui dominano creature un po' più piccole, ma con un sistema di termoregolazione e un sistema nervoso un po' più efficienti.

Questi due esempi, presi dalla storia della nostra biosfera,sono assai istruttivi, se portati sulla scala di ragionamenti oggetto dell'esobiologia. Il ventaglio di ipotesi sulle forme degli alieni diventa infinito. Una cosa però è certa e va ribadita: forme di vita aliene anche solo genericamente umanoidi (due braccia, due gambe, una testa), o addirittura ibridabili con l'uomo, sono a mio modesto parere da escludersi totalmente, non per pregiudizio, ma per una mera questione statistica. La storia della Terra, o meglio, la storia di Gaia per come noi la conosciamo, ci permette di scrivere in sintesi una legge ferrea, per quanto poco facile da riassumere in parole povere: la storia anche di una singola biosfera è la storia di un superorganismo integrato, autoorganizzato, complesso, aperto verso lo spazio e soggetto ai mutamenti agiti dagli strati geologici profondi. La sua evoluzione è dominata dal caso, governata da attrattori strani (gruppi di circostanze casuali correlate che determinano nodi di cambiamenti cruciali in un sistema complesso, autoregolato e in evoluzione, lontano dall'equilibrio termodinamico -uno gliommero, insomma) e fattori troppo fortuiti, per dar luogo a risultati troppo "convergenti" e omologati.

Ciò detto, la discussione si può basare su una serie di nodi o punti chiave deducibili a partire dal tipo di pianeti viventi, di strutture e di biochimiche che si possono incontrare -in base a quello che possiamo immaginare, che è poco, ma è quel che abbiamo.

Primo nodo: forme di vita a base carbonio o forme di vita a base silicio, o forme di vita a base germanio? Questi tre elementi chimici ad atomi tetravalenti (capaci di aggregarsi con altri quattro atomi alla volta), permettono in teoria grandi quantità di composti differenti. Teoricamente, possono essere tutti e tre posti alla base di interazioni chimiche complesse e potenzialmente in grado di supportare una caratteristica essenziale della materia vivente: l'autoreplicazione. Tuttavia c'è da dire che mentre il più leggero di questi tre, il carbonio, ha una grande flessibilità nello strutturarsi in molecole complesse, il silicio e il germanio dànno luogo a strutture assai più rigide, dunque meno capaci di organizzarsi in forme sempre più raffinate. Le forme di vita a base carbonio sono vulnerabili a temperature estreme, mentre ipotetiche forme di vita a base silicio potrebbero resistere in condizioni che noi considereremmo assai meno accoglienti. Può essere che esistano biosfere estreme popolate di creature più o meno semplici a base silicio, ma la resistenza, alla lunga, è battuta in natura dalla flessibilità. Dunque gli alieni avranno in comune con noi, con tutta probabilità, il fatto di avere una biologia basata sul carbonio: è quella più "facile" formarsi, ma soprattutto ad evolvere. Può darsi addirittura che, nel corso dell'evoluzione delle biosfere primitive, strutture a base silicio vengano progressivamente sostituite da strutture a base carbonio, nella misura in cui la vita modifica l'ambiente e lo rende adatto alla propria perpetuazione -ma a quel punto la flessibilità evolutiva (carbonio) vince sulla rigidezza (silicio). Il carbonio, inoltre, è diffusissimo nel cosmo, essendo più leggero come atomo, e crea molecole organiche (strutturate in catene e membrane) già nelle nubi interstellari che poi collasseranno in stelle e pianeti. Tenendo conto che: a) la vita è un problema di indice di metallicità (indice di elementi chimici pesanti) di una stella e della sua nebulosa di origine; b) più un elemento è pesante, più è difficile a formarsi per fusione nucleare, più e raro nell'universo; ne consegue, c), un'ulteriore conferma del fatto che il carbonio è l'elemento migliore come base della vita. Tuttavia è difficile che avremo mai altro in comune, sul piano biochimico, con i nostri fratelli a base carbonio. Il numero di molecole organiche che il carbonio può formare in astratto sta al numero di molecole organiche che la vita usa sulla Terra da tre miliardi e ottocento milioni di anni, come il numero dei protoni di tutto l'universo sta al numero dei protoni presenti nei nuclei atomici del nostro pianeta. Questo significa che le forme di vita di un esopianeta sono meno compatibili con noi di quanto non lo siano le buste di plastica non biodegradabili che riempiono le nostre discariche. Per venire a temi a noi cari, cadono alcuni dei luoghi comuni di grido della fantascienza e dell'ufologia: 1) che gli alieni possano davvero ibridarsi con noi o abbiano bisogno del nostro materiale biologico; 2) che gli alieni possano invaderci per usarci come animali di allevamento (noi saremmo appetitosi per loro meno di quanto non sia appetitosa per noi l'uva di plastica su una cucina esposta in un negozio di mobili).

Secondo nodo: tipologia di essere vivente: lasciando perdere gli archaea (microrganismi primitivi), ci resta da scegliere fra vegetali, animali o saprofiti (funghi) -per non parlare di altre situazioni un po' più strane, che vedremo a parte. Sono tutte ipotesi che anche la letteratura fantastica e il fumetto hanno esplorato. Teoricamente, potremmo avere: creature vegetali in grado di dominare una biosfera, e di creare reti biochimiche auto-organizzate (se non addirittura pensanti), grandi come interi continenti (vedi la biosfera di Pandora nel film Avatar), o creature con un qualche tipo di sistema nervoso e di coscienza, ma con un metabolismo da vegetali (per andare addririttura all'universo del manga -ricordi d'infanzia-, le belle mazoniane inventate da Leiji Matsumoto nella vecchia serie di Capitan Harlock), o colonie di saprofiti che occupano aree vastissime, alterando l'ambiente con una sorta di ingegneria biochimica spontanea. L'intelligenza cosciente all'interno un metabolismo da organismi consumatori è solo un'opzione fra le molte possibili.

Terzo nodo: la struttura fisica. Non esiste alcun vincolo netto in favore di corpi che abbiano una simmetria bilaterale (come il nostro e quello degli animali superiori) e non, ad esempio una simmetria raggiata. Il tipo di simmetria dominante è determinato in modo casuale dal tipo di creature che in una fase molto remota della storia di una biosfera riescono a prevalere: possono avere una simmetria bilaterale, radiale o bilaterale doppia. Dipende dall'ambiente in cui si saranno evoluti. L'importante è una struttura che consenta di muoversi facilmente e sfuggire ai predatori, o catturare le prede, con efficienza.

Quarto nodo: non è detto che il nostro alieno abbia bisogno necessariamente di sviluppare uno scheletro: invertebrati come i polpi sono assai intelligenti.

Quinto nodo: l'interazione con l'ambiente in termini di manipolazione. Le tecnologie che una specie intelligente può padroneggiare sono di due nature: 1) le tecnologie morbide di trasmissione ed elaborazione delle informazioni (un certo uso del linguaggio, per esempio); 2) le tecnologie dure di manipolazione materiale (l'uso di un bastone o del fuoco, per esempio). Non è necessario che l'intelligenza sia confinata a esseri che padroneggiano entrambi questi tipi di tecnologie: ovviamente, però, esseri che possono manipolare l'ambiente hanno la chance, per quanto remota, di arrivare fino a noi. Un essere intelligente deve comunque avere la possibilità fisica e soprattutto cognitiva di sviluppare a livello raffinato almeno una di queste tipologie di tecnica, almeno il tipo 1) che assicura la continuità culturale. Ciò vuol dire che è senz'altro necessario un cervello sviluppato, cosa fin troppo banale. Questo fatto ha implicazioni precise su come dobbiamo immaginarci l'aspetto di un alieno. Un cervello sviluppato a base carbonio è infatti: 1) vulnerabile ai traumi; 2) bisognoso di molta energia. Ciò vuol dire che deve essere protetto al meglio, a partire dalla disponibilità del set da bricolage evolutivo di partenza -e questo apre un amplissimo ventaglio di ipotesi -e richiede un'alimentazione a base di nutrienti che non richiedano troppa energia e organi per essere elaborati -e questo ci dà un'indicazione precisa, ci dice che il nostro alieno deve essere onnivoro o carnivoro, e per di più non deve avere un apparato digerente e masticatorio troppo impegnativo -troppo costoso a sfavore del cervello, come che quest'ultimo sia fatto. Dunque, in linea di massima, niente alieni con dentoni e boccacce da predatori -sarà che sono una buona forchetta, ma questo aspetto è assai importante. So che agli eventuali vegani in giro sul forum, che avessero avuto la costanza di arrivare fin qui, l'idea di un fratello cosmico carnivoro o onnivoro darà fastidio: fatto sta che mangiare nutrienti già molto elaborati fa risparmiare energia per il cervello e costringe a usare l'intelligenza per catturare prede. Questo quarto nodo del problema, le esigenze nutrizionali del cervello, ci spinge a preferire anche le creature che abitano terre emerse, perché possono controllare il fuoco abbastanza facilmente, e rendere così più digeribili i cibi (altra energia risparmiata per il cervello, rispetto a soluzioni come quelle rappresentate, ad esempio, dai cetacei). Dunque, un essere carnivoro od onnivoro, terrestre, non specializzato, con boccuccia e manine e sensibili organi di senso il più possibile vicini al cervello, sarà l'alieno tecnologico più probabile. Sono tratti che una struttura umanoide certo possiede, ma possono sposarsi anche con altre strutture: 1) forme centauroidi o aracnoidi; 2) esseri con ali o patagi -entrambe a simmetria bilaterale o bilaterale doppia, più difficilmente raggiata. Va però ribadito che tutto questo bel ragionamento del quinto nodo da sciogliere vale per lo più per esseri terrestri con un metabolismo animale.

Sesto nodo: il sensorio, ovvero, come un alieno vede il mondo (ammesso che lo veda). Strutture simili all'occhio, possibilmente vicine al cervello, saranno presenti se necessario (se c'è un'ambiente in cui la vista è necessaria). Altrimenti, possiamo immaginare tranquillamente esseri capaci di percepire campi elettrostatici a bassa frequenza (come quelli che circondano i corpi delle creature viventi), o raggi infrarossi, o addirittura, con un po' di immaginazione, onde radio ad alta frequenza (con organi di senso alquanto imponenti, considerata la lunghezza d'onda delle onde radio). Per decidere di queste e di altre variabili si devono prendere in considerazione gli ambienti di partenza possibili.

Un pianeta vivente (preferisco questa denominazione, a quella antropocentrica e fuorviante di pianeta abitabile o pianeta in tutto simile alla Terra) avrà, secondo gli scenari ipotizzati da Fred Hoyle e altri astrofisici, una superficie di acqua liquida compresa fra il 100% e il 40% della sua superficie totale, una temperatura media compresa fra i dieci e i quaranta gradi (considerando tutti gli estremi possibili) e una massa compresa fra lo 0,4 e le 2 masse terrestri. Dovrà inoltre orbitare, in un equilibrio sufficientemente stabile, attorno a un sole di media grandezza arancione o giallo (0,5-2 masse solari) non troppo giovane, non squassato da brillamenti che arrostirebbero tutto nel sistema planetario di sua pertinenza, e con un vento solare abbastanza stabile da tenere fuori della porta le particelle più pericolose frutto della violenta attività galattica del centro -niente stelle nane o subnane, niente stelle subgiganti, niente stelle supergiganti; qualche tipologia di sistema stellare binario, triplo o multiplo può invece consentire la presenza di pianeti viventi. Al massimo, un pianeta roccioso potrebbe orbitare (vedi ancora la Pandora di Avatar, attorno a un pianeta gioviano vicino al suo sole). Un indice di metallicità pari almeno alla metà di quello del nostro sole sarebbe "gradito". Una metallicità troppo bassa renderebbe infatti troppo scarso il materiale chimico necessario alla vita complessa su di una biosfera -soluzioni esotiche a parte. Ne conseguono una serie di implicazioni sulla forma del nostro alieno dalla bocca piccola e dalle mani di fata.

Pianeti coperti d'acqua difficilmente svilupperebbero civiltà tecnologiche. Chi nuota non ha bisogno di mani. Tuttavia gli alieni di un pianeta d'acqua, ad alta gravità (una sorta di via di mezzo fra una grossa Terra e un piccolissimo Giove) somiglierebbero alle nostre
balene e ai nostri delfini. Svilupperebbero ad altissimo livello le tecnologie della parola e del racconto, aedi oceanici in grado di elaborare storie e teorie in una dimensione culturale tutta interiore. Esiste tuttavia un'altra soluzione, per un pianeta d'acqua: esseri abissali simili alle piovre potrebbero, col tempo, usare strumenti semplici. Dato un tempo sufficiente, potrebbero controllare indirettamente il calore delle aree vulcaniche abissali, dove il magma affiora -un equivalente subaqueo della scoperta del fuoco. Col tempo potrebbero arrivare a una fisica e a una tecnologia capaci di portarli fuori del loro pianeta d'origine. Quindi, sui grandi pianeti d'acqua, la balena-poeta o la piovra sapiens, o entrambi, in concorrenza o in simbiosi. Il tipo di civiltà che svilupperebbe una piovra sapiens, una volta arrivata all'esplorazione spaziale, preferirebbe per lungo tempo l'uso di robot all'esplorazione con equipaggio, per ovvi motivi correlati alla complessità dei problemi ingegneristici derivanti dalla finalità di proiettare nello spazio l'infrastruttura vitale necessaria a tenere in buona salute un gruppetto di esseri della dimensione di un calamaro gigante di due o tre metri di lunghezza. La balena-poeta, invece, allo spazio non ci arriverà mai per ovvi motivi -a meno di non evocare fenomeni paranormali di qualche tipo, il che è francamente improbabile.

Pianeti con terre emerse di estensione più o meno limitata e a gravità di poco più grande di quella terrestre vedrebbero evolversi creature massicce, con più di due arti inferiori. Esistono parecchi limiti che la fisica pone ai colossi, se vogliono ergersi in piedi o tenere i loro corpi in un equilibrio termodinamico decente. Un essere centauroide a simmetria bilaterale o bilaterale doppia sarebbe assai probabile su un pianeta di massa più grande della terra che abbia però terre emerse abbastanza estese e non sia coperto totalmente d'acqua.

Pianeti simili alla terra o più piccoli, svilupperebbero ogni genere di creatura aliena terrestre di cui al quinto nodo. Personalmente, il mio alieno preferito (se si potesse dire così) è un longilineo e variopinto essere alato dai grandi occhi, sviluppatosi su un pianeta a bassa gravità (non è detto che sia per forza simile ad un uccello: potrebbe somigliare a una farfalla, o volare col vento come i soffioni: potete immaginare un gruppo di questi esseri che parlottano (magari a frequenze ultrasoniche o infrasoniche) arrampicati in cima a una sottile formazione rocciosa e poi d'improvviso si separano e si spandono nell'aria, planando).

Esistono tuttavia altri scenari assai più esotici. Su un pianeta gassoso come Giove, ad esempio, negli strati intermedi fra il nucleo caldissimo e l'esterno dell'atmosfera gelida, potrebbero svilupparsi forme di vita assai strane, in presenza delle temperature più miti che a un certo punto si riscontrano. Carl Sagan immaginò tre tipi di organismi: una sorta di plancton, i sinkers, sciamanti negli strati gassosi e liquidi, e destinati a far da nutrimento a enormi esseri, grandi come montagne, i floaters, sorta di meduse a simmetria raggiata di centinaia di metri di diametro, soggette a essere preda di esseri detti hunters, un po' più piccoli, forse alati e in grado di spostarsi rapidamente. Su satelliti ghiacciati di pianeti gioviani (è il caso di Callisto ed Europa) esseri viventi semplici, non solo unicellulari, possono sopravvivere negli oceani di acqua liquida che potrebbero esistere sotto le superfici gelate. Esistono forse forme di vita costituite da gigantesche nubi interstellari con un sistema nervoso di gas ionizzato: è il caso delle grandi nubi nere pensanti immaginate ancora una volta da Fred Hoyle. Nel libro La scienza degli alieni, di Clifford Pickover, che qualcuno ha già ricordato, si parla addirittura di esseri che possono svilupparsi, in condizioni estreme di temperatura, gravità e continuum spaziotemporale, sulla superficie metallica collassata di una stella di neutroni, o dentro le atmosfere solari. Sono soluzioni un po' improbabili, ma non impossibili per le leggi fisiche che conosciamo.

Ma finché ci limitiamo agli aedi abissali, alle piovre sapiens, ai centauroidi con sei o otto arti, agli esseri alati o aracnoidi, o al limite umanoidi, o perfino alle reti di saprofiti e di vegetali "pensanti", o alle entità plurali (ad esempio, colonie di esseri non dissimili dagli insetti e dotati di una sorta di coscienza biochimica comune), stiamo parlando solo degli alieni a base biologica. Si deve considerare il fatto che in una civiltà tecnologica avanzata, a un certo punto le interazioni fra organismo vivente e macchina, le nanotecnologie e la manipolazione genetica possono portare a una sorta di singolarità evolutiva che stravolge lo scenario di partenza di una specie intelligente.

E' possibile che l'esplorazione su scala cosmica richieda, col tempo, la trasformazione degli esseri intelligenti in simbionti bio-meccanici, strettamente interfacciati con i veicoli spaziali. O addirittura che l'universo sia popolato da una civiltà di macchine pensanti in grado di manipolare la struttura di interi sistemi planetari, costruendo Sfere di Dyson, strutture per lo sfruttamento dei buchi neri o attuando altre opere di astro-ingegneria. Ciò vuol dire che qualsiasi forma l'alieno avesse all'origine, potrebbe averla mutata o alterata in modo significativo. O, nel caso in cui volesse contattare un'altra specie intelligente, l'alieno potrebbe magari costruire ad hoc dei bioandroidi che simulino totalmente l'aspetto della nuova specie primitiva contattata, al fine di evitare lo shock da incontro ravvicinato -e qui mi contraddico in modo palese con le premesse del mio discorso.

Le possibilità dell'esobestiario sono tante e le storie possibili sono infinite. Un universo, anzi, un multiverso da immaginare.

P. s.

In ogni caso, le possibilità sono tantissime: quello che colpisce invece dell'immaginario ufologico è la monotonia del quadro generico, nonostante l'apparente varietà dei dettagli. Questo induce a pensare che, nel caso degli UFO, siamo di fronte a un fenomeno atmosferico assai anomalo (non i fulmini globulari del CICAP, ma qualcosa di davvero molto strano e atipico) che attiva dimensioni di percezione atipiche (al limite del paranormale) in chi ci ha a che fare. Tuttavia, l'immaginario dell'incontro ravvicinato, con i grigi, i rettiliani, i nordici, i nordici di tipo elfico, gli insettoni mi sembra umano troppo umano.
[Modificato da Interessato74 28/02/2011 16:12]
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