00 24/03/2011 06:55
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Ho a fondo affrontato l’approccio psicanalitico agli archetipi e conseguentemente ai simboli.
L’ipotesi junghiana relativa allo studio dei simboli e dei miti pone al centro della sua costruzione teoretica il concetto di inconscio collettivo.
Si tratterebbe di un mondo interiore annidato nella psiche dell’uomo affollata di tracce di immagini (archetipi) ereditate dalla serie degli antenati e comuni a tutta l’umanità.
A essi Jung riconosceva un ruolo causale determinante, nel suo studio specifico, rispetto alla genesi e per tracciare un cammino terapeutico delle psiconevrosi oltre che un effetto importante anche e soprattutto nella vita normale e religiosa di ogni individuo.
Lo scarto rivoluzionario di Jung rispetto a Freud consisteva nel passaggio dall’inconscio individuale freudiano all’inconscio collettivo, che sicuramente impresse alla sua teoria psicanalitica un taglio meno razionalista e meno prono rispetto al metodo scientifico, restituendo importanza alle istanze religiose e irrazionali della psiche.
Tuttavia, non per questo tale approccio comportò un riavvicinamento con le dottrine esoteriche. Guenon, Evola e altri importanti studiosi del ‘900 risposero alla figura dell’inconscio collettivo, con quella del superconscio, con una risposta, nel segno di Nietzche, della inevitabile allocazione sovrumana dei miti, essendo tracce di una origine divina.
Ma queste critiche, a mio avviso, pur parzialmente condividibili, non limitano la portata rivoluzionaria dell’impostazione junghiana: Jung prende come oggetto della sua indagine il mito proprio dopo che il medesimo era stato tanto denigrato da pensatori e psicologi, dagli stessi definito e considerato come una forma di pseudo o paraconoscenza, come fantasia o invenzione, non suscettibile per tale sua connotazione di un’indagine razionale, scientifica.
Ma in tal modo la teoria Junghiana come tutte le posizioni di confine si è trovata nel secolo appena trascorso a dover sopportare il fuoco di fila delle opposte fazioni: tanto quello degli esoteristi metafisici, come abbiamo dianzi riportato, in prima fila i più autorevoli, Evola e Guenon quanto molti psicologi razionalisti che criticarono Jung talmente aspramente, che la sua scuola rimase isolata nei confronti delle altre correnti europee di pensiero.
Questo breve excursus storico è utile per definire meglio l’esistenza di un universo di eventi storici o metafisici che possono essere narrati col mito o rappresentati col simbolo.
Tale è la loro collocazione spaziale, mentre per quanto attenga alla speculare collocazione temporale occorre riferirsi alla definizione di tempo mitico, in illo tempore.
Quello di tempo simbolico invece è concetto un po’ più complesso perché risponde ad una esigenza di relativizzazione, per usare un termine caro ad Einstein, che comporta l’introduzione del concetto di ciclicità.
L’unico modo di definire un tempo per i simboli è quello, con riferimento alla ripetitività delle rappresentazioni, della ricorrenza delle medesime a seconda dei cicli, di quelli che Giovambattista Vico, con rifermento alla storia denominò corsi e ricorsi.
Quindi il tempo dei simboli è un tempo ciclico.
Da questo universo di eventi, del quale ognuno di noi è consapevolmente o inconsapevolmente compartecipe, tramite quello spazio di condivisione che è la memoria ancestrale, viaggiano nelle generazioni dell’evoluzione naturale umana i miti ed i simboli, i primi secondo una linea retta, e quindi diretta, i secondi per una linea spiralica, e quindi ciclica, comunque mediata da chi è attore della rappresentazione.
Tutti i miti talmente forti e radicati da smarrire anche ogni ipotesi o possibilità di collocazione epocale e da apparire connaturati al venire in essere del mondo prendono origine da schemi più ampi che chiamiamo archetipi.
L’archetipo è uno schema cosmico che possiamo definire, in questa sede, universale.
Molti lo definiscono divino ma in questa sede sarebbe inopportuno perché quest’ultimo aggettivo è riservato al campo della fede, che non è oggetto di questo esame.
L’archetipo costituisce evento comune, tanto alla sfera d’azione dei miti, che a quella dei simboli.
Anzi tale contestualità di sfera d’azione diviene strumento per il ricercatore di individuazione degli archetipi stessi.
In tal senso è possible concludere come l’archetipo sia riscontrabile solo quando siano contestualmente presenti la narrazione del Mito e la rappresentazione del Simbolo.
Ma torniamo a Jung che definisce in tal modo l’archetipo:
L’archetipo quindi è un modello innato, facente parte del nostro patrimonio genetico, è un simbolo che ci porta a comportarci in un determinato modo. (Jung, 1957). L’archetipo è un’immagine primordiale – scrive ancora Jung – e denomino primordiale l’immagine, quando essa ha carattere arcaico. Parlo di carattere arcaico quando l’immagine presenta una cospicua concordanza con noti motivi mitologici, quindi c’è sempre questo stretto collegamento del mito col simbolo, specialmente quando si parla di archetipi, perché entrambi ne sono sviluppo e campo d’azione.
In sostanza Jung registrò e codificò a suo modo la stretta relazione esistente fra l’inconscio di un essere vivente e le immagini mitiche.
Da qui il suo crescente interesse per la letteratura greca e latina.
Ma il punto di vista di Jung è, a mio avviso, parzialmente distorto dalla sua impostazione di partenza e cioè da quella preclusione, operante per tutto l'approccio psicanalitico al simbolismo, che io ho denominato pregiudiziale terapeutica.
Tale limite di partenza parte dalla focalizzazione di archetipi, miti e simboli come strettamente riferiti alle loro dinamiche all’interno della psiche umana onde predisporre le terapie più adatte agli stati di sofferenza o disagio.
In sostanza costori ragionavano da medici e solo da medici.
Per tale motivo tale ottica esamina il fenomeno a valle e non a monte, ponendo come presupposto ontologico, ma anche come confine inderogabile, la psiche dell’uomo.
Io ho invece delineato il concetto di memoria ancestrale riferendomi ad un universo cosmico infinitamente più ampio e antecedente rispetto alla definizione del concetto ed alla estensione della psiche umana.
Per concludere possiamo quindi schematizzare il quadro delle tendenze dottrinali sulla definizione dell’archetipo in due categorie: un polo psicologico-psicoanalitico che ignora o esclude l’aspetto sacrale, se non divino, delle forze-energie originarie e che considera il mondo sovrannaturale, come la semplice condivisione di un mero archivio mnemonico subnaturale denominandolo inconscio collettivo, ad esempio Jung, Lacan, Fromm, Hillman, ed un polo esoterico-tradizionalista che ritiene invece che gli archetipi siano forze allocate e provenienti da un mondo sovrannaturale o sacro, che finiscono per essere continuamente presenti nel nostro mondo, richiamati, contenuti o evocati da rappresentazioni simboliche o narrazioni mitiche.
Ma questa distinzione, riguardo alla quale io propendo per la seconda corrente di pensiero, finisce per essere metodologicamente irrilevante riguardo alla scienza della decodificazione dei simboli: l’unico effetto della scelta tra l’inconscio collettivo e il mondo degli dei e degli eroi dell’età dell’oro è la consapevolezza, o meno, da parte nostra di un’origine e, conseguentemente potenzialità di ritorno, da e a Dio. A nostro avviso i primi grandi archetipi, che noi denominiamo protoarchetipi sono quelli fondati sulla specularità: buio-luce, silenzio-suono, dolore-piacere, vita-morte ed altri, sono la nostre prime percezioni, gli eventi primari, tutti derivanti dall’evento base che consiste nella frase di Amleto, Essere o Non Essere, che poi in realtà sarebbe Non Essere-Essere.
Vedremo in seguito come la frase di Amleto caratterizzi non solo la distinzione nella Kabbalah ebraica tra lo spazio dove insiste l’Albero della Vita, denominato Ain-Soph, e la tracciatura del medesimo con le sue Sephiroth, ma il dubbio esistenziale, psicanalitico e letterario relativo ai sogni ed alla distinzione dei medesimi rispetto alla vita reale, sintetizzato dalla massima La Vita è un Sogno e la Morte è il Risveglio del grande scrittore spagnolo Pedro Calderón de la Barca o da Shakespeare medesimo. L’evento base Non Essere-Essere, o anche tutto e il contrario di tutto realizza il Primo Archetipo, che si può denominare Speculum, Specchio, del quale parleremo diffusamente in seguito.
La mia analisi ha collocato l’origine degli archetipi nell’accadimento di eventi primordiali fisici o metafisici, da noi definiti anche storici o metastorici, che abbiano profondamente mutato la prospettiva universale, spaziale o temporale, contrassegnando il fluire degli eventi successivi.
Questi segni, o segnature come furono definiti dagli autori alchemici ed esoterici più importanti, si collocano stabilmente nella memoria ancestrale, l’archivio cosmico condiviso universalmente, anche se non sempre o quasi mai consapevolmente, assumendo la forma di archetipi.
Gli archetipi, in quanto presenti nella memoria ancestrale, giungono ad essere comunque collocati anche nell’inconscio di ognuno di noi, l’inconscio individuale, dove, per naturale e automatico meccanismo di catalogazione della nostra memoria, vengono elaborati, tramite, come abbiamo già esposto, un procedimento di sintesi o, meglio, di compressione, in simboli o in schemi simbolici.
Da tale loro luogo di provenienza i simboli possono affluire in una area di consapevolezza, la coscienza individuale, oppure, nella fase di sonno e tornando alla loro forma originaria di archetipi, in una area che rimane al di sotto della consapevolezza, che ho denominato subconscio individuale, nella quale si traducono nei sogni.
Quando i simboli affluiscono nell’area di consapevolezza, e cioè nella coscienza individuale, vengono elaborati razionalmente e ciò comporta la nascita anche della narrazione mitica, in quanto narrazione degli eventi primordiali, cioè la traduzione in miti.
Infine gli schemi simbolici affluiscono nell’esistenza di tutti noi divenendo simboli del quotidiano, se trasmessi inconsapevolmente, quindi per Tradizione, oppure simboli spirituali se trasmessi consapevolmente, cioè per Iniziazione, o, infine, fiabe, leggende e allegorie, ove siano la traduzione letteraria o figurativa della narrazione mitica, cioè dei miti.
Carpeoro
[Modificato da carpeoro 24/03/2011 07:08]