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Rapa Nui, la spirale, il labirinto e la ricerca dell’Ombelico del Mondo

Ultimo Aggiornamento: 05/04/2011 14:15
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24/03/2011 14:52

Gentile Carpeoro,

La sua interessante risposta illumina in maniera assai precisa molti punti nodali del problema.

Sicuramente l'indagine junghiana degli archetipi risente del pregiudizio terapeutico, o meglio dei vincoli intrinseci alla sua funzionalità terapeutica.

L'idea, o forse sarebbe meglio dire la prospettiva d'approccio, che si è tentato di prospettare da parte nostra, è un po' diversa e nasce da considerazioni di carattere evolutivo.

La realtà rappresentata dall'archetipo, a mio modestissimo avviso, è un'entità che oggi chiameremmo fuzzy, cioè sfumata.

In primo luogo, si assesta come comportamento implicito acquisito per sviluppo interno in una dialettica permanente con l'ambiente (inteso nel senso più lato), fra essere nel mondo ed essere con altri. E' uno schematismo in rebus del modo di relazionarsi, intrinseco all'automatismo inconscio (psichismo) prima della specie e poi dell'individuo. A un livello più profondo, nella zona di penombra fra le pertinenze della fisica e della biologia, l'archetipo stesso affiora già nell'incerta nebbia di frontiera in cui si inscena il dramma non lineare di quelle dinamiche di autoorganizzazione della physis che sfociano nella vita. Come omeostato, cioè come struttura autoregolantesi lontana dall'equilibrio termodinamico, individuo e gruppo si definiscono in termini di reazione-relazione con l'ambiente e con i propri simili. In tale dimensione si stabiliscono i connotati imprescindibili di identità-condivisione in cui singoli membri di una specie e gruppi sociali si strutturano. Quanto più si fa complesso il nodo relazionale, tanto più ergonomico deve essere lo strumento con cui il nodo relazionale si manifesta e si interpreta. In tal senso, l'archetipo come comportamento si fa archetipo come segnale, comunicazione-interpretazione mimica. Il suo fine è appunto, come lei puntualizza, distinguere. Il segnale distintivo, nella sua dimensione contrastiva, presuppone il linguaggio, la cui articolazione è solo questione di sviluppo neurale sufficiente. Quando il segnale distintivo-contrastivo si traduce come articolazione verbale, in pratica mito, rito, drammatizzazione, simbolo, sacralità nascono a un parto, per riprendere un'altra espressione vichiana. Nell'indifferenziato big bang in cui l'archetipo si traduce in simbolo articolato, le distinzioni non sussistono in sé per sé: sono soltanto questione di adattamento operativo-situazionale, ed è ovvio che sia così: nel concreto, un omeostato è una struttura plasmabile in lotta per conservare un'identità: ne consegue che adattabilità nella continuità è l'unica risorsa possibile. Quando l'archetipo comportamentale, divenuto segnale distintivo, si traduce in linguaggio, l'omeostato biologico compie semplicemente un salto di qualità organizzativo, trasformandosi in omeostato socio-culturale, e deformando l'ambiente prima sul piano segnico, poi sul piano materiale. Gli archetipi diventano i suoi apriori normativi: affondano le loro radici nel bios, si definiscono di primo acchito come gestualità relazionale, si strutturano quindi come simboli fra parola e techne, articolandosi poi in un contesto situazionale e infine specializzandosi.

In quest'ottica il suo speculum, che pure con tanta raffinatezza articola i primordia del dualismo essere-non essere, luce-ombra, sembra (almeno così la vedo io, ma quasi certamente mi sbaglio) appartenere a un momento di progressivo raf-fin-arsi, fin-alizzarsi e de-fin-irsi dell'archetipo stesso.

Di per sé, in origine, la selva archetipale (silva portentosa) sembra agire come un intreccio di comportamenti adattabili-inglobanti per garantire continuità in relazione con il contesto. Il pool archetipico comportamento-situazione si manifesta spontaneamente in una dimensione di archetipo-segnale nella dinamica del branco, per poi evolvere gradualmente come archetipo simbolo-rito-narrazione all'interno della memoria della tribù (archetipo ethos e archetipo ethnos); infine, si traduce in archetipo-paradigma nell'organizzazione di una cultura più avanzata, che da ultimo, approdando alla provincia logica del pensiero, ridefinisce, nella tematizzazione filosofica e scientifica, l'archetipo-paradigma nei termini di archetipo-teorema. Questo mia piccola schematizzazione, per quanto povera, cerca di spiegare come mai, nonostante tutti gli sforzi del pensiero umano di "unizzare" rigidamente, per usare un termine caro a Gentile, la realtà storica ci offra sempre culture con un patrimonio di miti tanto più lussureggiante quanto più si pesca nel profondo delle ère arcaiche. La ragione sta nel fatto che l'archetipo è in sé coerente e coeso nello sviluppo, ma intrinsecamente polimorfo e multifunzionale -dunque concretamente adattabile.

Da questo punto di vista, lo speculum pare assumere l'aspetto meno separativo di una membrana permeabile all'osmosi (quasi un amnios), fermo restando il fatto che in un certo momento dello sviluppo l'avvento del simbolo implica l'avvento della separazione -quindi del distinto, del conosciuto, da un lato, del sacro, del trascendente, dall'altro.

Nell'ultima fase della sua evoluzione, l'archetipo-teorema si traduce, tendenzialmente, in techne, in manipolazione e controllo. Non sono, per mia parte, un fan sfegatato delle teorie estropiane, del postumanesimo e della metafisica di Tipler, né credo che la venerata visione teologica-evoluzionistica di Pierre Teilhard de Chardin sia immune da mende: in ogni caso, tutte queste pur differenti visioni del mondo puntano il dito in una direzione significativa per il nostro discorso. L'archetipo-techne, in quanto esplicitazione del modo in cui l'uomo, bene o male, plasma l'ambiente, implica, come orizzonte, l'idea dell'archetipo che si attua come ultima linea di sviluppo autoorganizzato della natura, in quanto quest'ultima viene forzata ad assumere, nel bene a volte, troppo spesso nel male, la facies di corpo inorganico dell'uomo. In tal senso, propriamente, l'uomo, nel tentativo di ridurre l'universo a guscio prostetico di sé stesso, sembra farsi attuatore di archetipi,

deum vitam accipiet divisque videbit
permixtos heroas et ipse videbitur illis


[Modificato da Interessato74 24/03/2011 14:58]
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